martedì 26 marzo 2013

Lasciarsi in pace.

Seavessi già fatto due o tre tentativi di scrivere questo post in io, e mi fossi scocciata della fatica, e Sepreferissi tornare allo scientifico metodo di prima (scrivere come mi viene quando mi viene):

Fine della Saga dei Pronomi, sì, lo so vi mancherà, mi vedo la gente che non dorme la notte pensando oh, chissà che persone, tempi e financo modi verbali userà Seavessi?  Facevatevene una ragione, potete fare cose altrettanto appassionanti, potete dare una mano di vernice e guardare che asciuga, o guardare la Santanchè e immaginarla a bocca chiusa. 
(stormi di lettori terrorizzati si buttano in macchina verso il Self, Brico o quel che l'è più vicino)


Lasciarsi in pace.

Seavessi fa un po' di fatica ultimamente, una serie di piccoli, insignificanti e fetentissimi acciacchi le mina l'umore già provato da tutto un inverno di we singlemode. Ma anche in condizioni di funzionamento ottimale, Seavessi risente di un certo piemontese, atavico retaggio secondo il quale l'unica emozione esprimibile pubblicamente mantenendo la dignità intatta è lo scetticismo.

Questo Seavessi lo sa fare bene, diffida di quello che sente e di quello che capisce, non parliamo di quel che vede, tu dici azzurro, ma il tuo azzurro è uguale al mio? E come fai a saperlo, che è il mio stesso azzurro? Come puoi essere d'accordo con me, se non lo sono nemmeno io?
Comunque non è uno scetticismo paralizzante, Seavessi si muove fluttuando in questa nebbia di diffidenza, e fa lo stesso le sue cose normali, solo le commenta con sonori MAH.

Eventualmente esprimibile è anche la tristezza, purché sia sottile e abbia quella sfumatura cosmica, malinconica, sfuggente e non del tutto seria.

Massimamente inesprimibile è la felicità. Per due motivi.
Di solito si è felici di qualcosa, e o il qualcosa è importante, quindi assolutamente non divulgabile per motivi scaramantici e meglio non far sapere i fatti tuoi alla gente che è cattiva (by definition) e invidiosa (idem), e comunque meno ne sa meglio è.
O il qualcosa è molto piccolo, e in caso subentra un pudore un po' vergognoso, come posso essere così felice di una tale sciocchezza mentre là fuori è un brutto mondo.

Ieri a Seavessi sono successe tre inezie. Il mondo di Seavessi non è cambiato, la proposta del Lavoro della Vita non è arrivata, il Marito è ancora NP, le bambine scatarrano ancora.

e Seavessi ha commentato le tre piccole, gioiose, perfette inezie con un sorriso dell'anima (e un MAH).

Ma oggi Seavessi si è svegliata nervosa, di umore più basculante del solito, cercando di capire chi la stesse scocciando tanto da essere malmostosi di prima mattina.

Ha scoperto che era proprio Seavessi a non lasciarla in pace, perché voleva tirare fuori quel sorriso dentro, perché si può essere scettici E contenti, e contenti anche nei propri limiti, e contenti di tre piccole, perfette, gioiose inezie.








MAH.


domenica 24 marzo 2013

I sogni nel cassetto ammuffiscono.

Dobbiamo farcela passare.

Dobbiamo cambiare sfondo al blog che quell'acqua era troppo stagnante.

Dobbiamo sbatacchiare i pensieri come panni prima di stenderli al sole, perchè verrà anche il sole.

E mi è piaciuto questo post di Cenerella, così partecipo all'iniziativa e ve lo passo. In effetti, mi si stanno ammuffendo i sogni, è ora di dargli aria. Siccome mi piace anche la divisione per categorie, la copio parapara.


  • Per la categoria sogni di bambina: diventare un'esperta di rose rare, no di più, inventare una rosa nuova e darle il nome che voglio io. Una rosa mia. Di un rosa così pallido da sfiorare il bianco, oppure granata-maglia-del-grande-Torino (è un colore precisissimo noto solo agli iniziati), comunque con un profumo pazzesco.
  • Per la categoria sogni realizzabili con molto lavoro: capire cosa voglio fare da grande, prima di diventare TROPPO grande. Non intendo il lavoro (sigh) ché quello è in the lap of the Gods, ma proprio cosa voglio fare IO. Cosa voglio essere. 
  • Per la categoria ci vorrebbe un po' di fortuna: vedi sopra, un lavoro non del tutto mortalmente noioso (coma vigile va bene), e non assurdamente lontano da casa.
  • Per la categoria sogni mostruosamente proibiti: vorrei vivere al mare, e la domenica pomeriggio portare le bambine a prendere il gelato sul lungomare, anche se è inverno (tanto se è un sogno proibito la gelateria è aperta anche d'inverno no?)
  • Per la categoria sogni impossibili: un altro bimbo, un maschio coi riccioli neri. Da portare a giocare a rugby.

Non c'è scrivere. Volevo metterlo come primo sogno, ma prima  mi metto in testa che dipende solo da me, meglio è.


E grazie Cenerella.


PS voi non avete idea di che fatica MORTALE sia scrivere in io. Mi sembra di scalare l'Everest coi tacchi camminando all'indietro. E' tremendo.

sabato 23 marzo 2013

Immobile (il blues del sabato sera)

Ci sono momenti, e un sabato sera singlemode di pioggia è quanto mai propizio, in cui non passa.

Ma non solo, il fatto di non passare ha una sua densità fisica, è nebbia, panna, liquido lattiginoso che dovrebbe impedirti di vedere che nuoti in tondo in una boccia di vetro, ma non ci riesce. Non è sempre così ma capita.

Oggi è così, l'immobilità si tocca.

MaritoNP sarà sempre altrove.

Le bambine passeranno tutta la vita a ululare MAMMAAAA tre volte al minuto. A testa.

Passerai la tua esistenza a impedire a persone basse in ingoiare tappi di pennarello e a dare spiegazioni su Gordon. Che da parte sua passerà la vita a urlare contro gente che brucia capesante.

E quando è così, quando è tutto così uguale a se stesso che le lancette degli orologi si fermano, bisogna cercare l'errore. Avete presente Matrix, quando passa due volte il gatto?

Lo stesso. Bisogna cercare l'errore, l'incrinatura, il capo del filo che serve a dipanare il gomitolo di un presente appiccicoso.

L'ho cercato in un libro, ma non c'era, in un cioccolatino ma non era neanche lì. E per una volta, chissà come, non era nemmeno dentro Bohemian Rhapsody.

Ci sono momenti che bisogna proprio continuare a cercare.

domenica 17 marzo 2013

Carburante

Posso, visto che sto facendo l'immane sforzo di scrivere in "io", permettermi il lusso di partire da un commento?

C'è un commento anonimo, all'ultimo post, che dice all'incirca _ma perché ti fai desiderare?

Piccola parentesi: PERCHE', PERCHE' lasciate i commenti anonimi? Io sono curiosa. Voglio i vostri nomi, o quelli di vostra cognata, o quelli del cane che avevate da piccole, ma dei nomi, vi prego, ditemi dei nomi.
Soprattutto i nomi inventati, nickname o nom de plume o quel che vi passa per la testa in quel momento, dicono così tanto. Regalatevi e regalatevi un nome, care/i anonime/i, siete troppo interessanti per essere anonimi. Suvvia. Siete parole, non maldicenze.

(Gì tesora, tu no, i tuoi commenti li capisco anche se sono anonimi)

Soprattutto nel caso di un commento che mi ha dato tanto da pensare. ma perché ti fai desiderare?
Perché mi faccio desiderare? 
Mi faccio desiderare?

Sono giorni un po' strani.

Poche settimane fa ho deciso, non senza parecchi maldipancia, di limitare in modo drastico la ricerca di un lavoro, almeno fino a settembre, poi si vedrà.
Naturalmente non appena ho deciso e comunicato, con ulteriori e violenti maldipancia, questa cosa alla famiglia, il telefono ha cominciato a suonare e la gente a volermi colloquiare. 
Che uno dice va beh, vado senza aspettarmi niente, intanto però devi andare, fare bella figura perché non si sa mai, e poi chiederti chissà com'è andata, e poi fare finta che no, affatto, non stai per nulla pensando chi sa se mi richiamano chi sa se magari.
E questa sono io. 
Il MaritoNP è quantomai poco pervenuto, si ricorda che ha vinto Sanremo nel '61 e non si ricorda che domani deve andare a prendere le bambine perché io ho un colloquio, e ciò non giova alla civiltà dello scambio di opinioni conseguente.
L'Infanta disegna civette. Per tutti, continuamente, nel suo immenso sforzo di colonizzazione del mondo a furia di civette sorridenti. Perché mamma, tutti hanno bisogno di civette.
Revoluciòn poco fa, ma poco fa intendo un quarto d'ora, per la prima volta si è alzata in piedi nel lettino. E ancora lo sappiamo solo io e lei. E voi.
Fuori nevischia.

La scorsa settimana ho visto due amiche, una domenica e una venerdì.

E se solo sapessero quanto bene mi fanno quelle parole scambiate, un po' sconclusionate dalla disabitudine a chiacchierare gente in età post scolare, leggere, senza peso e senza meta.

Sembrano chiacchiere e sono carburante. Sono civette che sorridono.

Le mie.

venerdì 1 marzo 2013

1 marzo

Questo post non è da me, fra poco non lo riconoscerò e negherò di averlo scritto.
Ma adesso è adesso e non è fra poco.

Le bimbe dormono tutte e due, il marito è al lavoro, la gatta in giro a mettere in cantiere gattini.  C'è un po' di sole e un po' di silenzio.

Ma non troppo silenzio.

Perché le bimbe (e i bimbi) che dormono,  le mamme lo sanno, non fanno silenzio. Le bimbe che dormono sono belle da ascoltare.

Non l'ascolto ansioso di quando hanno la tosse o il raffreddore o russano per le adenoidi, e fanno quei respiri brutti e noi non riusciamo a dormire e respireremmo al posto loro.

L'ascolto come si ascolterebbe un pensiero.

Le bimbe che dormono fanno rumore di erba che cresce, di vento in mezzo ai rami. Anche di palloncini lasciati volare via.

Fanno rumore di piedi piccoli sotto le lenzuola fresche, di tè mentre si infonde nell'acqua calda, di scrocchio di libro nuovo, di sabbia che scorre fra le dita.

Fanno un rumore di silenzio pieno di cose.

Un bel silenzio.

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